Intervista ai Sindrome del Dolore: la storia, i sogni, i progetti.

 

Quella dei Sindrome del Dolore non è la storia di una delle tante band italiane che affollano il panorama emergente. I due componenti, Jim Wilde e Gi Emme, rispettivamente cantante-chitarrista, e bassista della band, negli ultimi anni infatti sono stati tra i pochissimi musicisti italiani di scuola “alternative” a poter vantare diverse collaborazioni internazionali con artisti inglesi della scena punk o elettronica, come Rich Gulag, Le Kayne o Dsm Global Collective. Unici italiani presenti nella compilation internazionale punk “Rebel Songs from a Prison Planet”, con il brano “Inverno”, questi ragazzi hanno in seguito collaborato anche con un gruppo gothic peruviano, come i Multiples Laceraciones. Il 2019 li ha visti tornare a suonare dal vivo, in un live genovese con Fel-D1 e 3Lementi, e i nostri ci garantiscono che hanno già delle date fissate per i prossimi mesi che a breve verranno pubblicizzate. Il 2019 è stato anche l’anno della pubblicazione del digital-album “Labirinti”, una raccolta dei brani usciti negli ultimi 2 anni.

Pioneri del rock in italiano ben prima che esplodesse la moda, i Sindrome del Dolore hanno saputo trovare un varco nella contaminazione fra mondi diversi a livello tanto geografico quanto sonoro. Ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con loro e che dire? Buona lettura!

 

Ciao ragazzi. Partiamo subito con la prima domanda. Chi sono i Sindrome del Dolore?

Siamo una rock band italiana attiva da qualche anno. Abbiamo realizzato da poco un album in digitale ed alcuni videoclip. Chi non ci conosce può andare a sentire i nostri brani sul nostro canale youtube, spotify, bandcamp o su soundcloud. Potete anche seguirci su facebook ed instagram.

Quali sono le vostre influenze musicali?

Jim Wilde: Io sono un fanatico del glam-hardrock/heavy metal vecchio e nuovo ed ultimamente ne sto ascoltando tantissimo. Probabilmente però le influenze maggiori nell’ultimo lavoro della Sindrome (per quanto mi riguarda) sono state certa new wave (penso ad alcune cose dei Cure che sicuramente mi hanno influenzato), un po’ di alternative rock (adoro i Placebo) e un’immancabile dose di buon punk e post-punk (Joy Division, ma anche Sex Pistols, Clash, Nirvana e soprattutto Ramones).

Gi Emme: Ci sono alcuni artisti che ci porteremo sempre dietro, per tanti motivi diversi. Ho iniziato a suonare perché sono esistiti i Nirvana. Dopo aver imparato a suonare tutte le loro canzoni sul basso, mi dissi: “Ok, ora so suonare tutto! Ho finito”. Non era propriamente così… ma era tutto quello che mi interessava. Altrimenti in fase creativa penso spesso a cosa farebbe Trent Reznor in quel pezzo. Per me rimane un fuoriclasse.

Al di là delle influenze internazionali, ci sono degli artisti italiani a cui vi rifate o che apprezzate in particolare?

Jim Wilde: I grandi cantautori italiani mi piacciono sempre. Sono uno che spazia molto negli ascolti, ma posso dire che alcuni cantautori (tanti in realtà) mi fanno compagnia dall’adolescenza.

Parliamo un po’ del vostro pubblico. Chi è il tipico fan dei Sindrome del Dolore?

Jim Wilde: Dall’idea che mi sono potuto fare in questi ultimi tre anni in cui il nostro pubblico è cresciuto parecchio ti posso dire che non esiste un vero identikit del nostro ascoltatore. Alcuni nostri brani come  “Anarchia” o “Presenti Appassiti” magari piacciono più a chi ha un background hard rock o punk ma tra chi ci segue c’è anche gente che ascolta roba più soft. Anche l’età varia molto.

Domanda un po’ scontata ma va fatta. Qual è lo stato di salute della musica in Italia?

Jim Wilde: Secondo me, al netto dei problemi che comunque ci sono, (pay to play e cazzate simili, una certa dose di provincialismo…) si comincia a scorgere qualche segnale positivo. Ci sono tanti gruppi e forse sta un po’ scemando quell’atteggiamento da nostalgici a tutti i costi per cui “i gruppi di prima erano meglio..” (che poi in alcuni casi è vero, ma in altri no.)

Gi Emme: Negli anni passati abbiamo avuto in Italia diversi gruppi di riferimento per la musica rock, nel senso più ampio, ma non erano così numerosi. Oggi mi sembra che ci sia un netto proliferare di artisti, è difficile contarli e stare dietro a tutti, e forse non è nemmeno più necessario. Ascoltiamo la musica su internet, anche una playlist di artisti vari è sufficiente. Il proliferare dei gruppi è qualcosa di positivo, purché abbiano qualcosa da dire. Se hai arrangiamenti minimali e nessun messaggio, mi sa che diventi meno interessante…

Usate tre aggettivi per definire il vostro digital-album “Labirinti”.

Jim Wilde: Vario, irriverente, nuovo.

Gi Emme: Dissimile, viscerale, onirico.

Vi è mai capitato di montarvi la testa?

Jim Wilde: No, ma non ne avremmo neanche avuto motivo!

Gi Emme: Sì. In questa intervista, sì.

Negli ultimi anni abbiamo visto una scena musicale italiana fervente soprattutto nell’indie-rock. In un certo senso voi avete anticipato i tempi, scegliendo l’italiano anche quando non era di moda. C’è stato un momento in cui siete stati tentati dall’inglese?

Jim Wilde: La tentazione di lasciare l’italiano non ci è mai venuta, però quella di fare qualche brano in inglese si, e forse lo faremo. In realtà abbiamo già cantato in inglese in alcune collaborazioni fatte con punk band inglesi (Rich Gulag, Le Kayne..)

Gi Emme: Prima l’inglese veniva scelto da molti gruppi, soprattutto da quelli che non avevano nulla da dire e che, in un inglese discutibile, potevano accompagnare validissime musiche o schifezze. Oggi chiunque può cantare in italiano, perché siamo passati a una poetica delle piccole cose: carrelli della spesa, mobili, vinili, cartoline, cortecce, radici, gomme da masticare, ecc. Di per sé la cosa è positiva, ma è molto complessa da realizzare, infatti spesso il risultato è pacchiano.

Con chi vi piacerebbe condividere il palco tra le band italiane? E tra quelle straniere?

Jim Wilde: Tra gli italiani non lo so. Degli stranieri mi piacerebbe andare in tour con Marilyn Manson, i Motley Crue, i Guns ‘n Roses o gli Iron Maiden. Tieni conto che dico così anche perché i Motorhead non ci sono più, purtroppo.

A voi lo spazio per concludere!

Jim Wilde: E’ giusto concludere quest’intervista con un ringraziamento a voi. Ci avete sempre supportato e di questa cosa vi siamo grati.

 

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